In occasione della commissione di Sinfonia di una città per Matera capitale della cultura, un’intervista al compositore
Georg Friedrich Haas a Matera (foto di Massimo Latini)
In occasione di Matera capitale della cultura 2019, il LAMS – Laboratorio Arte Musica e spettacolo – e la Fondazione Matera-Basilicata 2019, hanno commissionato al compositore Georg Friedrich Haas il compito di immaginare una musica per Matera. È nata così Sinfonia di una città sviluppata in sei concerti con altrettanti ensemble, in sei diverse stazioni musicali per un totale di 80 musicisti coinvolti e pubblico itinerante.
Lungo il percorso abbiamo avuto modo di scambiare qualche impressione con il compositore austriaco.
Maestro, come nasce il progetto Sinfonia di una città?
«Quando Giovanni Pompeo, direttore artistico della rassegna, e il suo consulente Vincenzo Santarcangelo mi proposero una nuova commissione qui a Matera, prima di tutto ho cercato in internet dove è situata la città. Dopo aver visto qualche immagine, me ne sono innamorato e ho avvertito sin da subito la possibilità di fare un grande lavoro».
Ha scelto personalmente le sei stazioni?
«Ho incontrato Giovanni per la prima volta qui a Matera lo scorso novembre, e insieme abbiamo visitato diversi luoghi. Credo di aver scelto i più rappresentativi della città. Sono poi tornato una settimana fa per partecipare alle prove musicali».
Percorrendo Palazzo Lanfranchi, la prima stazione di questa grande installazione sonora, l’ho vista fermarsi in diversi punti tenendo gli occhi chiusi: quale importanza attribuisce all’ascolto?
«Potrei rispondere con una domanda: quanto importante è per te respirare?».
«Quale importanza attribuisce all’ascolto?» «Quanto è importante per te respirare?».
Il bisogno di chiudere gli occhi suggerisce la necessità di dover ricercare il buio per un ascolto ideale? È questo il presupposto della performance a Casa Cava?
«Non necessariamente. Chiudo gli occhi solo perché in quell’istante non voglio essere disturbato. Per ascoltare ho bisogno di essere molto concentrato. Probabilmente l’ascolto per me si avvicina a una pratica simile alla meditazione, in cui ho bisogno di rimuovere qualsiasi altro elemento».
Un modo per isolarsi, ad esempio, in un contesto affollato come questo?
«Certamente, diviene indispensabile soprattutto quando mi trovo in situazioni caotiche».
Spesso ha affermato che il passato è un elemento importante per la sua musica: si riferiva al suo trascorso personale o al legame che la sua musica intrattiene con la storia?
«Entrambe le cose. Ogni periodo storico ha sempre presentato una grande pluralità di stili differenti. Ciò che mi affascina osservando la musica del passato, risiede nel fatto che a ogni epoca, a un certo punto la musica diviene avanguardia. Alcuni compositori… [il canto di una tarantella di un gruppo di strada improvvisamente cattura la sua attenzione, e il compositore si ferma così ad ascoltare]. Quello che questo gruppo sta facendo, è un elemento molto importante nella mia musica, dove non c’è alcuna distinzione tra arte e vita. La vita e l’arte per me vanno di pari passo».
«La vita e l’arte per me vanno di pari passo».
«A volte è molto difficile ascoltare la musica del passato, ci si può trovare di fronte a una sorta di abisso per il fatto che ciascun compositore ha cercato di spingersi il più lontano possibile. Un percorso ovviamente differente per un musicista del 1825, rispetto a uno del 2019. Possiamo comunque imparare dal passato il modo in cui un compositore ha cercato di sfuggire alla tradizione nel tentativo di creare qualcosa che potesse parlare al futuro».
Da quale compositore del passato ha imparato di più?
«Molti musicisti sono stati fondamentali per me. Il primo è indubbiamente Franz Schubert, che rimane un punto fisso, mentre tutti gli altri possono cambiare anche da un giorno all’altro. Mozart rivive in me, come Mendelssohn, che è stato un grande musicista d’avanguardia. Nell’immaginario collettivo Mendelssohn è ricordato come un compositore attaccato alla tradizione, ma l’uso che ha fatto del suono, il modo in cui compose il suono, il suo uso della strumentazione, l’abilità di combinare elementi sonori tra loro evidenziano uno sforzo intellettuale equivalente a quello che sta alla base dell’Arte della fuga di Bach. Non ha lasciato un segno creando nuove armonie o innovando altri aspetti della composizione, se non creando un nuovo suono. Un processo divenuto poi fondamentale per la musica a partire dal ventesimo secolo».
«Non dobbiamo dimenticare poi uno dei geni musicali di questa regione, Carlo Gesualdo da Venosa, che per molto tempo è stato descritto come un conservatore per l’uso della polifonia. Ma la cosa interessante è il modo in cui è riuscito a trovare una soluzione originale combinando elementi che per loro natura erano considerati tradizionali. Questa è una delle cose che noi possiamo imparare dalla musica del passato».
«Per quanto riguarda il mio trascorso personale, invece, ripenso alla necessità di sopravvivere. Ci sono molte cose per le quali non ho potuto parlare. E fino a oggi mi è stato difficile trovare le giuste parole per farlo. Quando si è stati figli di criminali nazisti come me, avvertendo un forte senso di colpa nonostante non sia personalmente responsabile di tutto questo, ti senti comunque in prigione. Se un poeta può riuscire a tradurre in versi questa esperienza, quel che ho potuto fare io è stato di esprimerlo attraverso la musica».
«Quando si è stati figli di criminali nazisti come me, avvertendo un forte senso di colpa nonostante non sia personalmente responsabile di tutto questo, ti senti comunque in prigione».
«Oggi sono finalmente in grado di dare un nome a tutto ciò, ho capito che è fondamentale parlarne poiché limitarsi a scrivere musica potrebbe rappresentare un pretesto per fuggire dall’argomento. È invece fondamentale conservare il ricordo. Qui a Matera la popolazione ha combattuto per la libertà ed è fondamentale ricordarlo. Sono contento che la mia musica venga eseguita proprio in questa data, il 21 settembre, nel posto in cui 76 anni fa questi crimini si sono consumati».
All’interno del percorso è prevista una fermata della banda davanti alla targa che commemora le vittime di quel massacro…
«Non è una coincidenza, infatti. Sin dall’inizio di questo progetto ho avvertito il desiderio di ricordare questo fatto storico qui a Matera. Molte persone sono morte e volevo scrivere una musica su quanto accaduto, ma è così difficile realizzarla. C’è sempre il pericolo di cadere nel sentimentalismo. Ho così pensato che la marcia della banda, con il suo movimento continuo, ascendente e discendente come nelle scale di Escher, e qualche breve interruzione al suo interno, sull’esempio di una marcia funebre, potesse essere la soluzione più appropriata».
È dunque lecito supporre che la sua musica permetta al compositore di incarnare il ruolo di un nuovo viandante, attualizzando l’estetica del Wanderer affine anche alla musica di Schubert?
«Credo che ognuno di noi sia un Wanderer. Oggi nessuno sa cosa potrà succedere nei prossimi due anni. Secondo me il viandante rappresenta una condizione sociale dalla quale purtroppo difficilmente si può sfuggire. Oggi la parola Wanderer riporta il pensiero al sentimento romantico, in qualche modo legato al passato. Per questo spero di continuare a incarnare il ruolo del viandante come condizione esistenziale, attuale».
Tra i suoi lavori più recenti troviamo un omaggio a Steve Reich, Josef Matthias Hauer e György Ligeti…
«Considero questi pezzi molto preziosi, soprattutto quest’ultimo: Ligeti è stato il Beethoven del ventesimo secolo, per questo ho voluto rendergli omaggio».
«Ligeti è stato il Beethoven del ventesimo secolo».
«Credo comunque che il miglior approccio verso la musica contemporanea debba essere quello che stiamo vivendo questa stasera: prima a Palazzo Lanfranchi la maggior parte della gente non era preparata a ciò che la stava aspettando. Ha solo risposto a un invito a entrare, e a provare a mettersi in ascolto. La loro risposta è stata stupefacente!»
Qualche anticipazione sui prossimi impegni?
«A breve ci sarà la prima assoluta del mio Concerto per percussioni e un lavoro ispirato al cornetto acustico di Beethoven da eseguire il prossimo anno, in occasione del 250° anniversario della sua nascita».